martedì 6 ottobre 2009

Anche così muore una democrazia: sotto uno scudo (fiscale)

Ho riascoltato per alcune volte il botta e risposta tra il presidente Napolitano e un cittadino sulla vicenda dello “scudo fiscale” e ho avuto la sensazione che il capo dello Stato fosse estremamente infastidito da quella richiesta: “Non firmi!”. Il nervosismo dell’inquilino del Quirinale è certamente dettato anche da un alto tasso di frustrazione in questa storia di legislazione pro-capitali all’estero da far rientrare nel nostro Paese con una multina di cinque euro (dicasi “cinque”!) e una osservazione speciale da parte delle istituzioni. Così almeno si spera sia, perché voglio poter pensare che il rifiuto del presidente a non firmare venga ispirato da questa semplicissima deduzione di coazione a firmare la seconda volta, dopo il rinvio del documento al Parlamento.
Voglio augurarmi che Napolitano non condivida quel testo, perché altrimenti ciò significherebbe una vera e propria corresponsabilità, con questa specie di governo (che non fa nessun fatica a mostrarsi come “comitato di affari della borghesia”), nella destrutturazione dello Stato di Diritto e nella prerogativa costituzionale di uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge e alle tanto temute tasse.
Se Napolitano si fosse rifiutato di firmare, si sarebbero ottenuti almeno due risultati: il primo, comunicare a tutta la nazione, con un gesto simbolico ma costituzionale, che quel testo così come era non poteva diventare Legge dello Stato; il secondo, rinviare il testo alle Camere con la possibilità di ottenere qualche minuscola modifica. A Roma dicono: “Mejo d’un carcio ‘n bocca!”.
Invece quella norma è oggi un salvacondotto pronto e condito per il rientro di un quantitativo enorme di capitali fuggiti dall’Italia per evitare le tenaglie del fisco e per accrescersi in numeri stratosferici nelle più sicure banche elvetiche o di oltreoceano.
Lo “scudo fiscale” è una vera e propria amnistia pecuniaria per tutti coloro che altrimenti avrebbero rischiato persino il carcere per le operazioni bancarie effettuate.
E, se fa male il sì del Quirinale, fa ancora più male il tacito consenso delle opposizioni parlamentari. Per una volta il governo non ha in aula i numeri per far passare il provvedimento in esame e, guarda caso, mancano all’appello e sui sacri seggi di Montecitorio quei 20-25 deputati necessari per far approvare il testo con nove voti di scarto sui “no”.
Deputati del PD, dell’UDC. Uno solo dell’Italia dei Valori. Ma per un partito tutto d’un pezzo come quello di Di Pietro è ancora più grave. Deputati “missionari”, si dirà. In giro per l’Italia perché impegnati dal Parlamento stesso in attività extraromane.
Ma la conclusione non è così indolore: all’interno del PD si scatena la guerra delle responsabilità tra sostenitori di Bersani e di Franceschini. Marino si salva (il vantaggio di essere piccoli…). E così lo “scudo fiscale” contribuisce anche alla campagna elettorale primaria del partito più velleitario che sia mai esistito.
E’ una scena degradante quella che ne deriva: un Parlamento dove l’opposizione non esercita il suo ruolo, una maggioranza che spadroneggia anche quando non ne avrebbe occasione e una Presidenza della Repubblica che interpreta così bene la Costituzione dal rinunciare alle sue prerogative, dal provare ad arginare una decisione che è un sinonimo di illegalità, un abuso nei confronti della pazienza di tanti cittadini veramente onesti che non possono sfuggire alle tassazioni perché la loro busta paga non glielo consente e che sbarcano il lunario con una fatica tale da ricevere un effetto ridondante nel sentire le cifre di capitali che rientreranno in Italia sotto la protezione dello “scudo”.
La democrazia viene messa in pericolo anche da comportamenti come questi, da rinunce, da sottovalutazioni e sottostime. Non bisognerebbe mai dare per scontato che una cosa che pensiamo accada davvero: né se la auspichiamo né se la scongiuriamo. Eppure, se in buona o mala fede lo sa soltanto chi ha agito, a volte accade e il non fare è di per sé una sconfitta ante litteram, una abdicazione ai diritti e ai doveri, un freno al mantenimento delle regole costituzionali e un allargamento indebito all’autoritarismo e al comune senso di intimidazione che si respira e che aumenta di giorno in giorno in qualunque luogo di lavoro di questo Paese.
La gravità della situazione è tale che, in oltre sessant’anni di Repubblica, per la prima volta la Federazione nazionale della Stampa convoca una manifestazione per respirare una boccata d’ossigeno nell’asfissia generale che il governo crea, agita e dirige attraverso i giornali, le tv e le radio che gli sono fedeli e che montano campagne diffamatrici sulla persona del giornalista Tale e del Talquale per intimidirlo, per farlo tornare nei ranghi dell’obbedienza che, a dispetto di Don Milani, sembra tornata una squallida moda chiamata ipocritamente “virtù”.
E tutto torna, combacia, si unisce perfettamente: lo “scudo fiscale” consente il ladrocinio legalizzato e la protezione governativa alle parole di Feltri consente l’intimidazione a Boffo oggi, domani ad altri giornalisti che criticano il presidente del Consiglio dalle colonne di un quotidiano assolutamente impresentabile come “rivoluzionario” o “comunista”.
La Costituzione così è messa in soffitta e si procede a passo d’uomo, anzi di manager, secondo i voleri confindustriali e secondo gli interessi privati.
E’ così che muore una democrazia: tra l’indifferenza generale con una canzone di gloria al Cavaliere nero di Arcore, candidato anche al premio Nobel per la pace 2010…: “Silvio, Silvio grande è”. Non è un coro da stadio. Purtroppo…

MARCO SFERINI

Articolo tratto da: www.lanternerosse.it

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