lunedì 28 settembre 2009

Consiglio Regionale del Molise. Intervento del Consigliere Michelangelo Bonomolo. Seduta del 25 Settembre 2009

“Questo Consiglio Regionale si trova ad affrontare una materia che per anni non ha trovato soluzioni sia per l’attesa delle indicazioni nazionali chiare sulla riforma federalista, che per mancanza di una chiara volontà politica di dare vita ad un dibattito più ampio che coinvolgesse maggiormente anche gli altri settori della vita pubblica regionale.
E’ chiaro – ha affermato Bonomolo questa mattina in aula - che essere arrivati sino a questo punto fa presumere che, almeno sui principi generali, ci sia un generale accordo maturato nella commissione competente, sui quali però ho provveduto a presentare una serie di emendamenti aggiuntivi che, spero, trovino il consenso da parte di questa assemblea. Ad una analisi sommaria ritengo che lo Statuto manca di una serie di scelte politiche tali da caratterizzare questa legislatura.
Il continuo rimandare a regolamenti interni da attivare nel futuro, infatti, la dice lunga sulla volontà di fare delle scelte che potrebbero anche risultare “anti popolari”.
La mancanza di un forte ruolo del Consiglio Regionale, la composizione dei gruppi, l’eliminazione di quell’odioso cambio di casacche che ha contraddistinto gli ultimi dieci anni di vita politica in questa regione non fanno altro che dimostrare che, a volte, parafrasando Tomasi di Lampedusa, i cambiamenti tanto annunciati, di fatto non vogliono essere resi operanti. Nel corso di questa legislatura ho provveduto, in questa direzione, a presentare diverse ipotesi legislative riguardanti il modello di elezione del presidente della Giunta e sul sistema di governo, che mirano ad una maggiore partecipazione del corpo elettorale, che spesso si trova a dover dare il proprio consenso sulla base di scelte unilaterali che dipendono dalla volontà di una elité presente nei due schieramenti principali.
Ritengo che occorra ridare senso al voto popolare, non senza porre in essere alcune riforme nella legge elettorale, tali da bilanciare lo strapotere dei Governatori sia nei confronti dell’assemblea legislativa che degli altri attori sociali, economici e politici di questa regione.
In questa direzione ribadisco la mia contrarietà all’elezione diretta del presidente della Giunta Regionale, auspicando che l’aula trovi i numeri necessari per un ritorno alla forma assembleare, non senza però alcuni cambiamenti, dovuti sia al particolare momento economico che ad una nuova visione delle esigenze di questa regione, evitando in questo modo una ulteriore frammentazione territoriale e politica che non giova sicuramente agli interessi complessivi dell’intero territorio.
Ritengo infatti auspicabile e necessaria la riduzione dei consiglieri regionali a 25 unità, sulla base di una unica circoscrizione regionale. Viviamo in una regione che oggi soffre i mutamenti federalistici in atto, sia per via della sua ridotta popolazione che per l’eccessiva frammentazione sui 136 centri regionali: non si giustifica più, dunque, una suddivisione territoriale che troppo spesso ha guardato agli interessi localistici e personalistici, perdendo di vista le esigenze complessive del territorio.
In questo senso sarà il partito o la coalizione dei partiti, con maggioranza anche relativa dei voti espressi, ad aver diritto all’elezione di 16 consiglieri, mentre i restanti 9 saranno attribuiti ai partiti e/o alle coalizioni in base al calcolo già in vigore nella precedente legge regionale. In questo modo verrebbe soppresso anche il cosiddetto “listino” che tanti danni ha fatto nella vita politica regionale, causando l’allontanamento di tanti cittadini ed un clima di rassegnazione nel corpo elettorale.
Come Comunisti/Sinistra Popolare, inoltre, riteniamo che il sistema di elezione debba prevedere nella scheda elettorale la possibilità, per ogni elettore, di indicare il nome del Presidente della Giunta Regionale individuandolo tra tutti i candidati presenti nelle liste presentate. In tal modo il Presidente della Giunta, nel corso della prima seduta del Consiglio Regionale, verrebbe designato dall’assemblea tra i primi 3 candidati indicati nella lista vincente e che hanno ottenuto il maggior numero di voti. Ribadisco, inoltre, la mia contrarietà alla nomina di assessori esterni e all’istituzione del “ Consigliere Supplente”, presente nella proposta di Statuto in discussione.
Occorre, inoltre, stabilire che in caso di sfiducia “costruttiva” il nuovo presidente venga designato all’interno dello stesso schieramento vincente (rispettando in tal modo la volontà degli elettori), tentando di eliminare così la frequente pratica dell’inciucio che è divenuta ormai prassi comune da quando è stata introdotta questa forma di governo e di elezione diretta del Presidente che forte del potere di nomina diretta sugli assessori, causa un frequente ed antipatico cambio di casacche.
Un meccanismo, dunque, che tutela la stabilità politica poiché tutela il voto dei cittadini che hanno espresso il voto. Questo per rispondere a quanti, importanti transfughi e non, hanno generato la vera instabilità politica anche in questa legislatura, migrando da un partito all’altro, da uno schieramento all’altro, tradendo un mandato elettorale fornito dai cittadini che hanno espresso la propria preferenza verso quel partito o verso una coalizione. La stabilità politica si ha quando la politica è forte. Non occorrono leggi o imposizioni particolari: occorre dignità e rispetto verso quanti hanno espresso democraticamente il proprio voto, ovvero i cittadini di questa regione.
Questa è la posizione di Comunisti Italiani / Sinistra Popolare – ha concluso Bonomolo - che mi onoro di rappresentare in questo Consiglio: mi riservo di presentare nel corso delle prossime ore altri emendamenti alla proposta in esame nonché di intervenire nel corso del prossimo dibattito.”

Michelangelo Bonomolo. Consigliere Regionale

venerdì 25 settembre 2009

La retorica delle parole, delle bandiere, delle preghiere

Il dolore sincero, profondamente vissuto e ormai a vita radicato nei cuori e nelle menti è stato quello delle madri e dei padri, delle mogli e delle fidanzate, così come la tenerezza dei bambini, nell’indossare un basco amaranto che l’arcivescovo di Cagliari, nella diretta del Tg5, definisce come simbolo dell’eroismo dei sei soldati della Folgore morti a Kabul. Il prelato tiene a sottolineare più volte che l’esempio che avranno i piccoli figli dei militari oggi è l’eroismo dei loro padri, una stella che li guiderà nella vita.
La retorica, come si può vedere, viene avanti con una indecenza che neppure la cultura di un uomo di chiesa riesce a trattenere. Il Comune di Roma distribuisce gratuitamente i tricolori da sventolare, quasi si trattasse di una manifestazione e non di un funerale e alcuni giovani, intervistati dal Tg1, a domanda rispondono: “Sì credo nella Patria, perché è un valore, perché ci difende e ci protegge”. Veramente è la “Patria” che chiede sempre di essere protetta e che quindi ha un esercito, delle brigate come la Folgore e tutto un complesso reticolo di comandi e controcomandi che ne fanno un mondo a parte molte volte, separato dalla vita civile.
Un mio caro amico spesso mi dice: il contrario di militare è civile, quindi se ne desume che il militarismo è incivile. Il sillogismo non è azzardato, almeno se messo su un piano più che di logica aristotelica, di ideologia e quindi di pensiero. Obbedire, comandare, imbracciare armi è tutto tranne che civiltà.
Se pensiamo che gli esseri umani siano nati e crescano per dividersi in obbedienti e comandanti, in civili e militari, allora possiamo anche smetterla di discutere, qui, subito.
Se invece pensiamo che dietro al militarismo ci siano altri interessi, allora forse è possibile capire meglio perché l’eroismo è solo quello di chi crepa in un agguato talebano (che a seconda dei punti di vista potrebbe anche essere visto come un atto di resistenza alle truppe occupanti e non liberatrici…) e quindi merita tricolori a bizzeffe, funerali di Stato e omaggi internazionali da ogni dove, e chi, invece, muore perché precipita dall’alto di un ponteggio in un cantiere è solo una vittima della mancata sicurezza sui luoghi di lavoro.
Gli eroi non esistono. Esistono solo uomini e donne che muoiono in circostanze diverse, e un lavoratore non fa meno di un militare per la cosiddetta “Patria”. Un lavoratore, nella mera visione di mercato, crea plusvalore, crea ricchezza per le industrie, contribuisce al Prodotto Interno Lordo del suo Paese. Un militare controlla le strade per via del decreto sicurezza, va a Baghdad e va a Kabul a sostenere la missione della Nato le cui regole di ingaggio non sono certo di sola difesa, ma anche di offesa. Altrimenti non si spiega la strategia dell’Alleanza atlantica che bombarda ogni settimana i villaggi dei civili perché sospetta che vi si nascondano i talebani.
Quei talebani che controllano pienamente il 75% del territorio afghano e che, a quanto detto da alti comandi del nostro esercito, riescono a penetrare perfino nel territorio della capitale, dove non dovrebbe passare uno spillo di un cosiddetto “terrorista”. Invece entra una macchina piena di esplosivo e fa saltare un intero convoglio italiano proprio nel centro della città distrutta dalla guerra.
Ma oggi è il giorno della retorica unificata: Chiesa e Stato si stringono le mani, piangono i morti e, con la voce pacata del sacerdote, mostrano l’unità popolare, l’amore per la vita, l’odio per la morte e la violenza. Contraddizioni si sprecano a piene mani. E solo una vera vicinanza al dolore dei famigliari fa sopportare la visione della cerimonia funebre.
Poi accade qualcosa di inaspettato: mentre arcivescovo e concelebranti proseguono nel rito cristiano e invitano allo scambio di un “gesto di pace”, un uomo sale sull’altare e trova un microfono acceso, lo prende e si mette a urlare ritmicamente per cinque volte: “Pace subito!”. C’è disorientamento: Antonio Martino cerca di individuare da dove arrivi quella voce, un po’ come i fascisti di Amarcord alla ricerca del fonografo che suonava l’Internazionale nel buio della sera. Uno smarrimento che dura qualche istante. Poi si riprende.
Ma, verso la fine, uno dei momenti più asintonici con la pace, l’amore e la fratellanza è la preghiera del paracadutista, il cui patrono è l’Arcangelo Gabriele. C’è sempre un santo per ogni cosa: Santa Barbara per gli artiglieri e Gabriele per i paracadusti. La preghiera è il peggio del peggio di un mistilinguismo clericale, fideistico e patriottardo.
Un linguaggio che, per un pacifista, è una contraddizione in termini, una serie di ossimori che sono comunque benedetti da Santa Romana Chiesa.
La preghiera più bella, anziché tante parole vuote e altisonanti al tempo stesso, doveva essere una domanda: “Perché obbedite?”. Perché vi piace obbedire, essere parte di un ingranaggio di comando che aliena le menti, che esercita passione nel cameratismo, nella disposizione ad una unità di intenti che viene svolta in nome dell’Italia ma di cui l’Italia non ha alcuna colpa o merito. Le missioni militari all’estero, a parte quella libanese di qualche tempo fa, sono state tutte missioni di supporto a guerre e non missioni di pace. Si sono intraprese per sostenere lo sforzo bellico americano e inglese prima in Afghanistan e poi in Iraq, così come in Kosovo o in Somalia.
E non fu proprio in Somalia che molti nostri militari si comportarono in modo tale da sollevare inchieste e inchieste dove veniva scritto, da fonti diverse, che si erano verificati episodi di tortura verso le donne somale, stuprate con mezzi rudimentali, mentre gli uomini venivano messi alla gogna con i fili del telefono collegati ai testicoli…?
Episodi? Sì certo, ma il militarismo e la guerra li provocano. L’esaltazione del combattimento, la paura e il terrore che nasce nel soldato, che resta un uomo e resta una donna, in fin dei conti… E allora, per esorcizzare questi sentimenti che vanno al di là della mente, il cameratismo è sempre utile e unisce in atrocità che altrimenti sarebbero impossibili.
Accade così per i peggiori atti di nonnismo e accade così anche per queste barbarie che vengono commesse.
Questo significa che il mondo militare non è solo il soldato che distribuisce le caramelle ai bambini, che li aiuta a prendere l’acqua alla fonte, che promette pace e la garantisce.
La pace può avere molti nomi, essere definita come si vuole. Ma non sarà mai pace quella che viene da una guerra di conquista, di invasione, di una amministrazione governativa contro un popolo che ha tutto il diritto di scegliere il suo cammino di vita e che non deve farsi insegnare la democrazia da nessuno.
C’è un’idea malsana di superiorità della “razza”, o di una nazione verso le altre nella concezione di “esportazione della democrazia”. C’è, alla fine di tutto, un bisogno di una ideologia conquistatrice per ottenere potere economico da risorse che altrimenti sarebbero imprendibili.
E allora, rispetto e cordoglio alle famiglie dei soldati uccisi a Kabul, ma nessun rispetto per la retorica delle bandiere tricolori del Comune di Roma; per l’omelia dell’arcivescovo che mescola guerra e pace, amore e odio; per la preghiera del paracadusta e per quel corredo di suoni e colori, voluti dal ministro La Russa, che le Frecce hanno disegnato nel cielo di Roma.
Solo quando avremo riportato tutti i soldati entro i nostri confini, solo allora potremo parlare agli afghani e agli altri popoli del mondo di pace. Fino ad allora saranno solo discorsi ipocriti, parole di prammatica.

MARCO SFERINI

fonte www.lanternerosse.it

mercoledì 16 settembre 2009

Siamo tutti e tutte ANTIFASCISTI, SEMPRE!!!

Scritto da Rete28Aprile di Roma e Lazio

La Rete28Aprile nella Cgil di Roma e del Lazio esprime totale disaccordo sulla scelta della Cgil regionale di invitare Gianni Alemanno il 17 settembre a partecipare a un dibattito dal titolo “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Autunno 2009: Roma-Lazio-Italia” , nel corso della festa Piazza-Bella-Piazza. Non condividiamo, francamente, l’impostazione generale di tutta la festa, molto istituzionale e burocratica. In 5 giorni di incontri, non c’è traccia di movimenti né tanto meno - e ci pare assurdo - di tutte quelle realtà del mondo del lavoro in lotta e in mobilitazione in questi mesi nella nostra città. La festa rischia di essere una mera passerella di sindacalisti, politici e rappresentanti delle istituzioni. Ma che poi, a un dibattito sul lavoro e sulla crisi, sia chiamato a intervenire Alemanno è per noi intollerabile. Non ignoriamo evidentemente che Alemanno è l’attuale sindaco di Roma, ma allo stesso tempo non dimentichiamo chi è e da dove viene lui e chi siamo e da dove veniamo noi. Nonostante i tentativi di darsi una parvenza di rispettabilità politica e culturale, il passato di Alemanno - peraltro non proprio lontanissimo - gli ripiomba incessantemente addosso. Prova ne è la decisione recentissima di nominare ai vertici dell’AMA Stefano Andrini, condannato a quattro anni e mezzo per tentato omicidio contro due compagni nel 1989 e segnalato dalla Digos fino almeno al 2007 per la sua appartenenza a gruppi neo-fascisti. Nonostante l’indignazione del Sindaco - peraltro più che ovvia - è evidente che il crescendo di violenza razzista, omofoba e sessista che stiamo vivendo da mesi nella nostra città va attribuito a un intollerabile rigurgito fascista che - a Roma più che altrove - proprio l’elezione di Alemanno ha sdoganato. Abbiamo ancora in mente, le immagini della festa sotto il Campidoglio la notte della sua elezione a sindaco di Roma, con braccia alzate e cori fascisti. Lo ribadiamo e lo ribadiremo ogni volta che servirà: le compagne e i compagni della Cgil sono antifascisti. Alemanno alla festa della Cgil non lo vogliamo.E, riprendendo il titolo del dibattito, ricordiamo che l’Italia non è soltanto una repubblica fondata sul lavoro. L’Italia è una repubblica democratica e antifascista fondata sul lavoro.
Così, vogliamo parlare del lavoro e della crisi nella festa della Cgil.

Anche così si aumentano gli indici di ascolto...


venerdì 11 settembre 2009

Milano 10 ottobre 09 MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER I 5 PATRIOTI CUBANI: adesione di COMUNISTI SINISTRA POPOLARE


MANIFESTAZIONE NAZIONALE per la liberazione dei 5 patrioti cubani illegalmente detenuti negli Stati Uniti d'America, contro il silenzio dei mezzi di comunicazione!

Per la liberazione dei Cinque, contro il silenzio dei mezzi di comunicazione!

Cinque cubani, dal 12 settembre 1998, sono detenuti negli Stati Uniti con condanne che vanno da 15 anni fino a un doppio ergastolo perché, a protezione del loro popolo, controllavano l’attività di gruppi paramilitari anticubani che dal territorio degli Stati Uniti pianificavano attentati terroristici contro Cuba.

Come è stato riconosciuto anche da alte autorità militari statunitensi, che hanno testimoniato durante il processo, i Cinque cubani non hanno mai commesso atti di violenza, né sono mai entrati in possesso di documenti segreti che avrebbero potuto mettere in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti, né hanno tentato di farlo.

Il processo tenuto a Miami è stato ritenuto illegale dal Gruppo di Lavoro sulle Detenzioni Arbitrarie dell’ONU per come è stato condotto. Dieci Premi Nobel, Parlamenti esteri, singoli parlamentari di tutto il mondo, istituzioni internazionali, organizzazioni dei Diritti Umani, associazioni di giuristi e diverse migliaia di personalità hanno chiesto invano, prima alla Corte di Appello di Atlanta e poi al Tribunale Supremo degli Stati Uniti, la revisione di questo processo.

Il Governo statunitense ha fatto di tutto perché questo caso passasse sotto silenzio. Infatti la revisione del processo, in una sede diversa da Miami, avrebbe potuto portare alla scoperta di connivenze, protezioni e sostegno ad azioni di terrorismo contro Cuba da parte dei vari Governi degli Stati Uniti.

In Italia i grandi mezzi di comunicazione - su questo caso come per altre situazioni avvenute nel mondo - hanno mantenuto un silenzio tombale, che dimostra il controllo a cui sono sottoposti, la loro mancanza di etica professionale e l’ipocrisia del cosiddetto mondo occidentale sulla tanto declamata "libertà di informazione". Ricordiamo che una delle 3.478 vittime di tali azioni di terrorismo contro Cuba è il cittadino italiano Fabio Di Celmo. Nessun grande quotidiano, nessuna importante rete televisiva ha mai speso una sola parola per chiedere giustizia per questo nostro concittadino. Il noto terrorista Luis Posada Carriles, che vive e gode di ampie protezioni negli Stati Uniti, non è mai stato perseguito per questo crimine dalla giustizia statunitense, pur avendo rivendicato pubblicamente la propria responsabilità.

Siamo contro tutti i terrorismi, in tutte le loro forme o manifestazioni, diretti contro chiunque, in ogni parte del mondo e per qualsiasi ragione. La lotta contro il terrorismo la si conduce anche attraverso una corretta informazione.

Invitiamo i cittadini italiani - che nonostante tutto quello che accade nel mondo e nel nostro paese continuano ad avere e a credere nei valori morali – ad aderire al nostro appello e a partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà a Milano il 10 ottobre 2009 per lanciare un segnale di solidarietà ai Cinque, chiedere che i mezzi di informazione facciano finalmente conoscere il loro caso e arrivare alla loro liberazione.

mercoledì 9 settembre 2009

Berlusconi ha messo l'elmo e va in guerra. Dopo Boffo, Fini


Editoriale di Alessandro Cardulli

La bugia è parte preponderante della personalità di Berlusconi. Ora dice che con Fini “va tutto bene”, “ Tutto è a posto”. Il presidente della Camera risponde che “ non è vero”, ma che vuol dire. La bugia fa notizia.

Non c’è l’ombra di un giornalista, di quelli al seguito, meglio sarebbe dire al guinzaglio, che gli faccia presente che racconta balle. Quel che resta della sua contorta personalità è la paura. Paura di tante cose che lo riguardano personalmente. Teme la giustizia, ha il terrore che da un momento all’altro possa essere coinvolto, indagato. Processato, se fosse possibile visto le leggi che si è fatto approvare dal suo famiglio, il ministro Alfano. Non perde occasione di scagliarsi contro i magistrati, quelli di Milano e di Palermo in particolare. Teme l’informazione, quel poco di stampa e televisione libere che restano nel nostro paese. Non gli basta l’impero mediatico che ha disposizione. Deve occupare con i suoi sudditi-scribacchini ogni spazio.

Non può consentire che alcuno possa mettere in discussione le sue scelte politiche, le sue scelte di vita, il suo stato di salute, le operazioni finanziarie che porta avanti anche quando è in visita ufficiale in Libia con il suo amico Gheddafi e con il finanziere tunisino Ben Ammar, socio di Fininvest. Non a caso Berlusconi e Gheddafi sono diventati soci di Ben Ammar nella sua “ Quinta communication”, società di produzione e post produzione cinematografica in Francia e Tunisia. Il capo del nostro governo presente in “ Quinta” con una quota detenuta, guarda caso, da una società domiciliata in Lussemburgo. E pensare che il cavaliere definisce le minacce alla libertà di stampa “una barzelletta”, una invenzione dei cattocomunisti .

Paure, bugie, autoritarismo
La bugia e la paura sconvolgono la sua mente, si esibisce in lunghe tirate, parla e straparla, come un fiume in piena, non riesce a contenersi.
Odia i giornalisti di Repubblica e dell’Unità. Ama solo Bruno Vespa, l’ untuoso sacrestano. Lo usa quando mette il vestito buono, quello della domenica. Quando invece, come il prode Anselmo, mette l’elmo e va in guerra, ha bisogno di chi spara, Vittorio Feltri. Sarebbe interessante conoscere quali sono stati gli accordi fra il capo del governo e Feltri quando lo ha nominato direttore. Si usa così nel mondo dell’informazione: l’editore propone ad un giornalista di assumere la direzione del giornale, indica le scelte editoriali, le concorda con il candidato.. Il direttore presenta il suo programma alla redazione che può esprimere un voto consultivo.

Il guastatore Vittorio Feltri
Quale è la linea editoriale che Berlusconi ha indicato a Feltri?
La risposta è nota: il caso Boffo, la violenza dell’attacco all’ex direttore dell’Avvenire,sono la “linea “editoriale del “ Giornale.” Il ruolo di Feltri è quello del guastatore. Davvero ridicolo che Berlusconi continui a dire che non conosceva gli articoli e ripeta che non condivide le ingiurie rivolte a Gianfranco Fini. Non ha bisogno di leggere in anteprima gli articoli. Sa bene quali sono gli ordini che gli ha impartito al momento della nomina:colpire chiunque gli faccia ombra. Boffo, proprio oggi, ha fatto sapere che “ la cosa non finisce lì” e che le sue dimissioni avranno forti ripercussione politiche. Anche da parte di Fini si annuncia una risposta che verrà data in un suo intervento al seminario del Pdl, giovedì a Gubbio. Storace, intanto che non ha mai avuto grandi simpatie per Fini, con la ruvidezza che lo distingue dice che è partita la manovra per far fuori il presidente della Camera. Da ambienti vicini a Fini si fa sapere che “ non è niente a posto, anzi.
I problemi politici ci sono ed è paradossole che Berlusconi neghi”. Del resto ci aveva già pensato il “Secolo d’Italia,” ex quotidiano di An, a dare una risposta durissima, prima ancora \che a Feltri a Berlusconi che è anche il capo del Pdl di cui Fini è stato un cofondatore. Scrive infatti la direttrice, Flavia Perina: . “ La destra non intende tornare nelle fogne”, il progetto del Pdl “si sta snaturando”, il partito sta diventando “ becero, nevrastenico, con la bava alla bocca”. In questo scenario a tinte fosche fra pochi giorni riprendono i lavori parlamentari proprio con quel testamento biologico , l’asso nella manica di Berlusconi, che vuole portarlo in dono al Vaticano come pegno della sua fede e penitenza per ottenere l’assoluzione. Proprio il presidente della Camera ha detto a chiare lettere che deve essere cambiato il testo approvato al Senato e parlamentari del Pdl a lui vicini si preparano a presentare emendamenti. Si capisce bene il senso di quelle parole, di quell’ordine a “ tornare nei ranghi”, impartito a Fini dalle colonne del Giornale. Paure e bugie, perché non può dire la verità, altrimenti dovrebbe fare i bagagli, spingono Berlusconi sempre più in avanti sulla strada dell’autoritarismo e l’Italia in un tunnel sempre più nero da cui si deve uscire al più presto. Prima che sia troppo tardi.

martedì 8 settembre 2009

Dieci domande a Marco Rizzo


Riceviamo e volentieri pubblichiamo le risposte di Marco Rizzo alle dieci domande che gli abbiamo posto
1- Da quanto tempo conosci Oliviero Diliberto?
Dal 1992 quando ero segretario di rifondazione a Torino e membro della direzione nazionale
2- Dubitavi di questa persona anche quando il PdCI era parte del Governo del Paese due anni fa?
No, ero però critico sulla politica di partecipazione diretta al governo (cioè con ministri e sottosegretari, avevo proposto che i nostri "ministri" si fossero chiamati abolizione della legge 30 e della controriforma Moratti), ma fui messo in minoranza.
3. Da quanto tempo avevi il sospetto che Diliberto potesse avere contatti con la P2?
Come ho spiegato pubblicamente ne sono venuto a conoscenza pochi giorni prima della campagna elettorale del 6/7 giugno.
4. Perchè hai continuato a fare parte di un'organizzazione politica pur sapendo che il suo segretario aveva ormai da anni incontri pubblici con una persona legata alla P2?
Non ho avuto manco il tempo di riflettere, visto che sono stato espulso meno di un mese dopo.
5- Perchè all'ultimo Congresso hai deciso di sottoscrivere la mozione con il tuo segretario che da anni asserisci avere rapporti continuativi con la P2?
Ripeto non so se Diliberto faccia parte di associazioni segrete, non sapevo nulla all'epoca del congresso dove non ho presentato alcuna mozione perchè aveva vinto la mia linea, quella dell'unità dei comunisti che è stata poi mal gestita e ci ha portato alla sconfitta. Ricordo che fui l'unico nel gruppo dirigente ad esser contro la sciagurata scelta dell'Arcobaleno.
6 -Perchè non hai fatto una mozione alternativa a quella di un presunto massone?
Ho già risposto nella domanda precedente.
7- Perchè sei stato zitto per tutto questo tempo: avevi una qualche convenienza?
Già risposto, lo avessi saputo prima lo avrei certamente detto per fermare l'Arcobaleno.
8- Se non ti avessero espulso per quanto altro tempo ancora avresti continuato a tacere?
Avendolo saputo a ridosso della campagna elettorale ho chiesto chiarimenti al dopo elezioni. Avete presente cosa sarebbe accaduto fosse uscito questo dibattito durante la campagna? altro che il 4%
9- Ritieni che un problema politico di questa natura potesse essere risolto per mezzo di colloqui privati tra te e Diliberto tenendo all'oscuro il resto del Partito?
Ripeto lo ho detto solo a lui per un rapporto di lealtà col segretario di un partito che era ancora il mio, appena fatte le elezioni assieme a molti compagni ho chiesto la convocazione del comitato centrale allargato ai segretari di federazione e di sezione, in quella sede avrei posto la questione, sono stato, credo appositamente, espulso prima.
10- Sei disposto a giurare di non avere contribuito all'organizzazione dellla campagna elettorale per Gianni Vattimo (Italia dei Valori)?
Sono stato falsamente accusato ( senza alcuna prova e sono pronto ad andare di fronte ad un qualunque giurì d'onore per verificarlo) di aver fatto la campagna elettorale non solo per Vattimo ma anche per Ferrando, sarebbe stato un pò difficile essendo il sottoscritto candidato a sindaco a Collegno e a presidente della provincia a grosseto col simbolo del partito ed il mio nome sulla scheda. Facevo campagna contro me stesso? Giuro di non aver fatto campagna per Vattimo quanto so per certo che alcuni compagni "a me vicini politicamente" hanno fatto campagna per lui. Esiste forse la proprietà transitiva in politica? se sì , Diliberto sarebbe dovuto esser cacciato da tempo, non scelse forse lui il ministro Bianchi che, appena finito il governo Prodi, passo al PD? non ho inoltre problemi a dire di esser felice della elezione di Vattimo che per me resta un compagno. So che il suo primo incontro dopo le elezioni è stato fatto con l'ambasciatore di Cuba.

Un caro saluto
Marco rizzo

lunedì 7 settembre 2009

Crisi economica e scuola, necessaria la concertazione

- Esprimo soddisfazione per gli esiti dell’incontro organizzato ieri a Campobasso dalla Lega Autonomie Locali riguardante gli infausti provvedimenti relativi alla riorganizzazione della scuola pubblica contenuti nella manovra finanziaria.

Il quadro delineato nella nostra regione mostra ripercussioni negative soprattutto in ambito sociale, con l’ulteriore spopolamento dei nostri piccoli comuni che, grazie allo smantellamento della scuola pubblica e all’impossibilità di porre rimedio con fondi propri da parte degli enti locali, spingeranno molte famiglie a spostarsi verso i centri urbani maggiori. A questo bisogna aggiungere l’ulteriore precarizzazione della situazione lavorativa di centinaia di insegnanti giovani e meno giovani, anch’essi costretti ad emigrare verso altre regioni, a cui si aggiungono i 3500 posti di lavoro persi nel primo trimestre 2009 (dati Svimez) in settori come l’industria e l’agricoltura. Fattori che, in questo periodo di recessione e, dunque, di consumi ridotti, può mettere in ginocchio la già debole economia regionale. In questo senso il regime di aiuto alle imprese come quello promosso dalla Giunta Regionale in questi giorni, deve essere propedeutico ad un maggiore incremento dell’occupazione. Il mio timore è che si tenda ad assicurare la sopravvivenza di aziende che non assicureranno né maggiore occupazione né maggiore ricchezza per il territorio: ritengo che occorra, invece, proteggere i lavoratori e le loro famiglie, assicurando buona occupazione che possa rilanciare i consumi e i servizi e, conseguentemente, salvare i nostri tanti piccoli centri. Sino ad adesso con i pochi fondi messi a disposizione per la scuola pubblica, le politiche sin qui messe in campo risultano assolutamente insufficienti e per questo, esprimendo la mia solidarietà alle centinaia di precari che nei prossimi giorni annunciano una forte mobilitazione, auspico un maggiore coinvolgimento delle amministrazioni locali, dei sindacati, delle associazioni di categoria e dei consumatori, affinché possano essere individuate soluzioni strategiche globali che scongiurino l’ulteriore impoverimento economico ed umano di questa regione.

Michelangelo Bonomolo

*Consigliere Regionale del MoliseVice Presidente della IV Commissione Consiliare

sabato 5 settembre 2009

Autunno caldo nella scuola...

Contro i tagli, la legge Aprea, la politica scolastica di Tremonti-Gelmini, per l'assunzione di tutti i precari/e

Iniziative di lotta e di protesta da settembre.

15 settembre In occasione della ripresa delle lezioni nella gran parte delle regioni, si propone a tutto il "popolo della scuola pubblica" di dare vita ad una iniziativa di protesta nelle scuole, indossando un capo di abbigliamento tagliuzzato (a piacere) accompagnato da un adesivo “No ai tagli. Difendiamo la scuola pubblica”. I giornalisti vorranno sapere in quali scuole la cosa si fa e sarà necessario fornire in ogni territorio un elenco esauriente di scuole dove la protesta verrà effettivamente attuata. Contemporaneamente, verranno fatte diffide ai presidi in merito al sovraffollamento delle classi, in base alle norme di sicurezza sulla capienza aule e sui rischi conseguenti. In ogni caso vanno richieste, in caso di ordini di servizio scritti o "imposizioni" orali, precise e argomentate deroghe scritte da parte dei presidi, laddove si cerchi di imporre a docenti ed Ata di ignorare e violare le norme di sicurezza.

15 settembre- 22 settembre Manifestazioni provinciali davanti agli USP o USR di pomeriggio nel giorno di apertura, con un calendario reso noto a livello nazionale. Le singole province valuteranno se accompagnare questa protesta con un’ora di sciopero a fine giornata. Nel caso, va ricordata la necessità di indire la conciliazione per lo sciopero almeno 20 giorni prima dello stesso.

25 settembre – 20 ottobre Promozione di convegni Cesp sulla legge Aprea nel maggior numero possibile di province.

15 settembre- 15 ottobre Organizzazione di riunioni e assemblee per valutare la possibilità di costituire nel maggior numero possibile di città PATTI IN DIFESA DELLA SCUOLA tra varie componenti sociali, docenti, Ata, studenti medi e universitari e loro strutture, ricercatori, genitori, basati sul riconoscimento reciproco, sulla co-presenza di ogni forza e sigla, sul rifiuto di inventare fantomatici nuovi soggetti “politico-scolastici”, che impongano artificiali "reductio ad unum" di varietà e pluralismo organizzato. I PATTI vogliono essere innanzitutto una forma di consultazione permanente tra le forze davvero interessate, coerentemente (non a seconda di quale governo gestisce la scuola), alla difesa della scuola pubblica, per valutare insieme le varie proposte di iniziativa, le possibilità di gestirle insieme, garantendo ad ognuno la propria specificità; oppure, ad "amministrare" eventuali differenze di posizione e diverse iniziative, senza che diventino contrastanti o conflittuali.

10 ottobre – 20 ottobre Promozione di iniziative nazionali e locali in difesa dei diritti sindacali, della libertà di assemblea e di propaganda nelle scuole e nei luoghi di lavoro, possibilmente con le altre forze del Patto di Base e, per quel che ci riguarda, riprendendo le proposte già avanzate lo scorso anno di iniziative davanti al Ministero PI.

VERSO UNO SCIOPERO GENERALE
NELLA SECONDA META’ DI OTTOBRE

Comunisti Sinistra Popolare

Dopo i risultati deludenti della partecipazione al governo Prodi, la sciagura dell’Arcobaleno e l’ennesima sconfitta alle europee della lista comunista, accompagnata da un vero e proprio tracollo alle amministrative, riteniamo che sia il tempo di voltare pagina.
Per questo motivo non ci attarderemo più di tanto in una polemica retrospettiva, anche perché significherebbe riaprire la discussione proprio con chi ha creato il disastro e rivela, ogni giorno che passa, non solo di non avere le capacità, ma anche di non essere interessato né ad una riflessione critica né ad un qualsivoglia tentativo di rinnovamento.Il quadro politico odierno, risultato anche di queste carenze politiche, è drammatico: la destra si è rafforzata ed anche gran parte dell’opposizione agisce assecondando le logiche della classe dominante e inseguendo Berlusconi sul suo stesso terreno.I comunisti e la sinistra sono stati sconfitti perché non hanno saputo analizzare la società italiana e i mutamenti in atto a livello globale e non hanno saputo entrare nelle contraddizioni dell’esistente con un ruolo protagonista ed antagonista. Non hanno saputo intercettare una forza lavoro atomizzata, non hanno combattuto sul piano culturale l’irruzione della “società dell’immagine”, non hanno avuto occhi per vedere la mutazione culturale ed antropologica che attraversava anche le classi subalterne.Le innovazioni strutturali del capitalismo, la sussunzione del ceto politico della sinistra, i partiti comunisti al governo, un sindacato che concerta e cogestisce col padronato la perdita dei diritti dei lavoratori, i privilegi economici e di potere della casta dei politicanti di professione hanno fatto il resto.Da una parte (pensiamo al Partito Democratico e dintorni), si è accettata la visione del modello dominante e del liberismo presentandosi come altra faccia della medaglia del berlusconismo e accettandone il confronto sul piano della affidabilità nei confronti di Confindustria e dei poteri forti del capitalismo nostrano. Ma la cosa peggiore è che questo ha provocato la novità che sono stati i lavoratori, la nostra gente che, priva di un modello alternativo di società di riferimento, ha finito per accettarla.Da un’altra parte, noi comunisti e la sinistra cosiddetta radicale non abbiamo avuto la capacità di vedere un mondo che cambiava e abbiamo ripetuto un messaggio di grande valore ideale, ma in un contesto che diveniva incomprensibile ai più, mentre passava con il nostro avvallo la riforma delle pensioni e del welfare, la truffa del TFR e si bruciavano le ultime speranze del popolo della sinistra.Crediamo che la sconfitta venga da qui ed è da qui che dobbiamo ripartire.Non basta mettere insieme cinque o sei organizzazioni in difficoltà per crearne una migliore. Serve un’approfondita analisi, una rinnovata cultura di classe e una discontinuità politica.Certo non partiamo da zero: esiste un’Italia più sociale che politica, che va ben al di là dell’elettorato della sinistra, a cui questo mondo non piace. Il drammatico peggioramento delle condizioni di vita, la questione salariale, la mancanza di posti di lavoro che non siano precari, la tragica situazione in cui sopravvive il meridione e, più in generale, un diffuso senso di incertezza sono i sentimenti dominanti in larga parte dell’opinione pubblica. Esistono inoltre tantissime realtà che producono, slegate fra loro, conflitto sociale. Nella crisi della politica, l’accresciuto ruolo dei movimenti ambientali che si sono espressi in questi anni nei territori, il sindacalismo di base e le correnti anticoncertative nella CGIL, il popolo della pace, i movimenti studenteschi e giovanili sono capisaldi da valorizzare per proporre un modello alternativo di società e di fare opposizione in questo paese. Insomma le potenzialità di lotta per il cambiamento sono più che possibili, il problema vero è l’arretratezza dei punti di riferimento politici, culturali e organizzativi.La crisi economica e del quadro politico nazionale sono gravissime e potremmo avvicinarci rapidamente al giorno in cui il castello di sabbia su cui si costruisce il potere del PDL e del PD crollerà. Le diversità tra questi due partiti, pur evidenti, non consentiranno loro di svincolarsi nella comune caduta. Serve quindi un progetto, un percorso alternativo a tutto lo stato di cose esistente. Chi può organizzarlo? A chi rivolgersi per ripartire oggi? Semplicemente agli uomini onesti senza immediati interessi di privilegio e di collocazione istituzionale. Ma anche a tutti quei compagni intenzionati a riproporre al centro del dibattito politico la necessità di un processo di costituente comunista. Processo presumibilmente non breve ma che deve essere finalizzato da subito all’unificazione di tutti i comunisti, ovunque collocati, in un unico soggetto politico utile alla causa della lotta contro il capitalismo e non alla conquista delle poltrone. Infine, al variegato popolo della sinistra e a tutti i sinceri democratici disponibili a difendere gli spazi di agibilità politica non compromessa coi poteri forti e al di fuori dalle gabbie bipolari/bipartitiche del modello di democrazia autoritaria imperante.L’alternativa non dovrà limitarsi al governo di turno al potere, ma dovrà dotarsi di idee nuove sul modello di sviluppo, sul lavoro, sull’ambiente e sulla questione di genere. Non è compito facile né rapido. Le organizzazioni politiche esistenti a sinistra, pur nello sforzo esemplare di una militanza che rischia di apparire residuale, non sono sufficienti. Ciò non solo è stato dimostrato dai risultati elettorali, ma anche dall’ulteriore allontanamento di tanti lavoratori dalla politica attiva. Questo non vuol dire non valorizzare tutte le energie in percorsi unitari, ma che va tenuto in conto che la sola fusione a freddo dei gruppi dirigenti esistenti non può produrre quel segnale di riscatto necessario a riattivare le energie delle decine di migliaia di militanti disillusi e della enorme diaspora comunista.Su questo punto vogliamo essere chiari. Servono percorsi di unità dei comunisti che riattivino tutte queste energie in maniera utile a far crescere il conflitto ed un vasto movimento di opposizione al capitalismo in maniera totalmente alternativa al progetto di cannibalizzazione del PD. All’interno di questo percorso, ricostruire un quadro politico nazionale ed un Partito comunista all’altezza dei tempi.Non servono, invece, percorsi che rimettano insieme i pezzi del mosaico della sinistra ormai esploso che hanno una finalità convergente tra loro se non il superamento di uno sbarramento o la conquista di nuovi posti al sole nei salottini del potere.L’enorme crisi strutturale da cui è attraversato il capitalismo è segnata da un’egemonia reazionaria e da una vera e propria vandea padronale. Di fronte a questo panorama il popolo del lavoro e quello del non lavoro si trovano senza riferimenti di classe credibili e rimangono in balia della soluzione individualista berlusconiana e del populismo securitario alla Lega. I grandi progetti di governo della crisi socialdemocratici o liberalsocialisti sono alla corda e l’unica opposizione appare quello legalitaria e “antipolitica” di Di Pietro che però stenta ad offrire una prospettiva di cambiamento radicale alle classe subalterne. Bisogna capire da dove ripartire per compiere una vera svolta. Proviamo ad elencare due grandi questioni da cui far ripartire un processo che riporti i comunisti a contribuire alla rinascita di una sinistra popolare e di classe nel paese.La prima è relativa ad un’agenda autonoma dalle compatibilità e dalle necessità di governo, che sappia unire le battaglie da condurre in una precisa ottica di classe, intercettando le aspettative della nostra gente; una sorta di programma minimo di classe che possa essere condivido non solo da qualche migliaia di quadri politici, ma anche da milioni di nuovi proletari. Tra le diverse questioni, individuiamo alcune priorità su cui vorremmo aprire il dibattito, valorizzando tutte le energie politiche, collettive ed individuali, disponibili:La drammatica situazione della forza lavoro, sempre più come ridotta a merce e privata della dignità che si deve ad ogni rappresentante del genere umano. Per ricostruire un insediamento di classe occorre costruire cellule di comunisti sui luoghi di lavoro e nel conflitto, favorendo il ricostituirsi di consigli unitari di lavoratori, indipendentemente dalle sigle e burocrazie sindacali.Il saccheggio perpetrato dal capitale finanziario e che, con il sistema bancario, ha messo alla gogna non solo i normali cittadini, ma anche le imprese produttive piccole e medie.Il tema dell’ambiente e la necessità di cominciare a delineare un nuovo modello di sviluppo che possa essere compatibile con l’inconfutabile fatto che le risorse del pianeta sono finite. La militanza senza interessi personali, mediante il principio che chi dovesse occupare incarichi istituzionali, dovrebbe mantenere la busta paga precedentemente percepita, mentre chi ne fosse sprovvisto, riceverebbe lo stipendio di un normale lavoratore.La difesa della Costituzione da chi intendesse mutarla in senso regressivo e la trasparenza assoluta nella questione morale che passa attraverso il divieto per i militanti non solo di partecipare ad associazioni segrete (ci mancherebbe!), ma anche ad avere qualsivoglia rapporto con poteri forti che possano condizionare l’azione stessa del nostro agire politico.La formazione, l’istruzione e le risorse utili alla collettività devono rimanere settori pubblici della società.La necessità di trasmettere questo programma alla maggioranza della popolazione italiana e, quindi, il problematico uso dei mass media e, più in generale, della comunicazione.Come vedete cose semplici per affrontare questioni complesse. La seconda questione è legata alle forme organizzative. Siamo ancora a livello di una prima riflessione che ci consiglia di impegnarci, non tanto a destrutturare organizzazioni esistenti per farne una unitaria mediante una “fusione a freddo”, ma ad imporre un metodo che possa indurre tutti, ovunque collocati, a lavorare per un soggetto unico politico di tutti i comunisti che lotti per l’Alternativa. Alternativa di progetto, di programma ed infine di società: in sostanza un processo politico per la transizione al socialismo nel XXI secolo che non sia solo una proposta culturale con cui ricavarsi spazi di discussione, bensì un processo percepito e praticato da larga parte del nostro popolo.Non vorremmo, ad esempio, perdere tempo nella discussione su alleanze di governo che porterebbero ad uno stadio ancora più avanzato l’attuale polverizzazione della sinistra di classe.Una proposta di resistenza e di riscatto rivolta ai settori sociali colpiti dalla crisi. Unità quindi con il nostro popolo oggi confuso e disilluso, una proposta di collaborazione unitaria a tutti i comunisti ovunque collocati e, soprattutto, alle migliaia di militanti dispersi in una diaspora silenziosa in atto da anni. Un impegno militante che noi prenderemo da comunisti per ricostruire una sinistra popolare, non affetta da "governismo" e all’altezza della sfida odierna per il superamento del modo di produzione capitalista.Un progetto ambizioso che si evidenzierà con la scelta "quadrata" con cui racchiudere il simbolo la scelta non poltroniera ed elettoralista. Un grande progetto aperto ed in itinere che sappia costruire dibattito ed azione politica per arrivare ad un grande appuntamento autunnale con la verifica del lavoro svolto nei luoghi di lavoro e nel territorio, insomma tra la nostra gente."...i nostri padri quando tornavano la sera a casa dopo una giornata di lavoro erano sicuri che Togliatti, Secchia, Longo, Paietta e Berlinguer pensavano a come risolvere i loro problemi. Oggi da tanto tempo non è più cosi'. Bisogna ricominciare da li'..."